Questo post “sostituisce” il classico articolo del weekend visto
che ci troviamo nella settimana pasquale e quindi salterà. Ne
approfitto per farvi gli auguri di Buona Pasqua!
Il post che segue è
un po’ diverso dal solito e prendo spunto da un commento di un
lettore (che ringrazio) riguardo il mio ultimo articolo che, seppur
di sfuggita, accennava a quale dovesse essere, a mio avviso, la
postura internazionale dell’Italia e quindi nei confronti della
Cina.
Ci tengo a precisare
che non c’è nessun intento polemico contro il commento stesso,
così come la mia visione può tranquillamente non essere condivisa
da alcuni: io lascerò i commenti aperti facendo affidamento sulla
vostra educazione. Anticipo già che personalmente non risponderò ai
commenti.
Visto che gli
argomenti addotti vanno molto di moda (e lo andranno sempre di più)
in maniera trasversale dagli ambienti ZTL ai suprematisti occidentali
vale la pena dedicargli un post a sé.
Il commento recita
testualmente:
Si,cadiamo in mano a un regime autoritario,che sta rapinando
Paesi emergenti,terreni e terre rare,rubare tecnologie,colpevole del
COVID, sovvenzioni statali alle sue imprese,vendendo in
dumping,ecc.,… può bastare?
Il puzzone si può convincere,e
poi passerà,i comunisti nn cambiano mai,Sic et sempre.
E poi nn
ha proprio tutti i torti:usa ci pagano sicurezza,e noi investiamo in
welfare che loro nn hanno…mi fermo qui
Prima
di entrare nel merito, faccio un po’ di premesse:
Non sono un sinologo
Lungi da me difendere un paese o regime piuttosto che un altro
Stringere accordi o alleanze in qualche campo non significa “cadere
in mano a qualcuno”. Questo approccio è tipico di che dà per
scontato che si debba inevitabilmente sottostare a qualche egemone.
Premesso ciò,
iniziamo. L’articolo sarà un po’ lungo, perciò mettetevi comodi,
ma soprattutto non conterrà nessuna strategia operativa.
Ne avrei fatto volentieri a meno ma questa settimana non posso
esimermi dal commentare anche io cosa stia succedendo sul fronte di
dazi e della alta volatilità provocata da Trump. Sapete che di
solito sono molto moderato nei toni, ma questa volta permettetemi di
cambiare registro perché certe cose non si possono più né
ascoltare né vedere.
Facciamo un po’ di
riassunto sulle idee che sono passate per questo blog. Inizio ad
esempio con il riportare un articolo dove si parlava della
de-dollarizzazione e di quali effetti questo fenomeno avrebbe avuto
sui prezzi dell’oro. La cronaca delle ultime settimane penso che sia
stata la più palese conferma di questa visione.
Molti si chiedono
come mai i tassi dei T-bond americani salgano (il trentennale è
arrivato a sfiorare il 5%) ed il dollaro si deprezzi. Esattamente
perché molti stanno entrando nell’ottica che il dollaro non sarà
più moneta di riserva privilegiata come lo è stata dopo la fine
degli accordi di Bretton Woods.
Questo era
cominciato ad essere intuibile quando le sanzioni contro la Russia
avevano bloccato i conti in dollari, ma lo sta diventando evidente
nel tentativo, disperato e fallimentare, di riequilibrare La bilancia
commerciale degli Stati Uniti da parte di Trump.
Un impero che
rinuncia ad avere un surplus monetario, a fronte quindi di un deficit
commerciale, smetterebbe di essere tale. Ora potrebbe anche darsi che
Trump si riveli storicamente come un Gorbacëv in salsa
yankee ma sarebbe
troppo bello per essere vero.
La retromarcia fatta
nel giro di qualche giorno sui dazi al resto del mondo ne è una
conferma.
È notizia di ieri sera che addirittura sono stati tolti i dazi anche per la Cina per quanto riguarda i prodotti tecnologici. Domani quindi in apertura ad esempio aspettatevi che un titolo come STM venga sospeso in asta di apertura per eccesso di rialzo.
Faccio notare
inoltre che mantenere i dazi sulla sola Cina è sostanzialmente
inutile vista la sua integrazione nella catena della produzione
globale.
E qui adesso veniamo
a quello che succederà: vedrete che nei prossimi giorni passeremo
dal nemico russo a quello che cinese in men che non si dica. Della
serie ” come stare sempre dalla parte sbagliata della storia”.
Infatti una classe
dirigente degna di questo nome, sfrutterebbe immediatamente questa
occasione per emanciparsi dal dominio di un impero in decadenza per
trovare nuovi sbocchi economici, industriali e geopolitici per il
proprio paese.
La prima iniziativa
che si dovrebbe prendere sarebbe quella di ripristinare la via della
seta, annullata da questo governo, per aggraziarsi non solo al
sistema produttivo cinese (di gran lunga il primo al mondo), ma a
tutto il blocco euro-asiatico che sarà il futuro dei decenni a
venire.
Ricordo anche che la
Cina attuale dipende molto meno dalle sue esportazioni di quanto non
lo facesse 20 anni fa ma anche rispetto a paesi come l’Italia o la
Germania.
Italia: 33,73% (sul
PIL)
Germania: 42,1% (sul
PIL)
Cina: 19.72% (sul
PIL)
Quindi, quando
sentirete castronerie sulla sovra-produzione cinese, ricordatevi
questi dati.
Negli
ultimi giorni, i mercati finanziari hanno vissuto un vero e proprio
terremoto, scatenato dall’annuncio dei nuovi dazi imposti da Donald
Trump. Questa decisione ha avuto un impatto immediato su diverse
asset class, generando volatilità e incertezza tra gli investitori.
Le conseguenze economiche e finanziarie di questa mossa si stanno
ancora delineando, ma le prime reazioni indicano un cambiamento
significativo nello scenario globale.
Le politiche protezionistiche adottate da Trump hanno colpito
duramente il commercio internazionale, penalizzando in particolare i
settori manifatturiero e tecnologico. Le aziende statunitensi e
internazionali, che dipendono da catene di approvvigionamento
globali, si trovano ora a dover rivedere le proprie strategie
operative. Il mercato azionario ha reagito con forti ribassi, con i
principali indici che hanno registrato perdite consistenti a causa
delle preoccupazioni per una possibile guerra commerciale su larga
scala.
Anche il mercato obbligazionario ha subito scosse significative. I
rendimenti sui titoli di Stato sono aumentati, riflettendo le
aspettative di un possibile rialzo dell’inflazione dovuto ai costi
aggiuntivi imposti dai dazi. Gli investitori si trovano ora a dover
riequilibrare i propri portafogli, cercando rifugi sicuri per
mitigare l’impatto dell’incertezza economica. I corporate bond,
soprattutto quelli di aziende esposte al commercio internazionale,
hanno subito un ampliamento degli spread, segnalando un aumento del
rischio percepito.
Il mercato valutario ha mostrato forti oscillazioni, con il
dollaro che ha inizialmente guadagnato terreno grazie alla politica
protezionistica, per poi subire correzioni man mano che i timori di
un rallentamento economico si sono diffusi. L’euro e le valute
emergenti hanno subito pressioni, mentre lo yen giapponese e il
franco svizzero sono stati visti come rifugi sicuri dagli
investitori.
Il concetto di “terremoto finanziario” descritto in
questo contesto non è solo una metafora, ma una rappresentazione
accurata della situazione attuale. Il mercato sta attraversando una
fase di profonda incertezza, dove ogni nuova decisione politica può
innescare reazioni a catena difficili da prevedere. Le economie
globali si trovano di fronte a un bivio: da un lato, la possibilità
di un rallentamento dovuto alle barriere commerciali, dall’altro, la
necessità di adattarsi a un nuovo scenario competitivo.
Per gli investitori, la sfida principale sarà gestire questa
volatilità con un approccio prudente e diversificato. La ricerca di
asset resilienti e strategie di copertura diventerà fondamentale per
navigare in questo clima di instabilità. Le prossime settimane
saranno cruciali per capire l’effettivo impatto dei dazi e delle
contromisure adottate dagli altri paesi.
In sintesi, l’annuncio dei dazi di Trump ha scatenato un terremoto
sui mercati finanziari, mettendo in discussione equilibri consolidati
e aprendo scenari inediti per l’economia globale. La capacità di
adattamento e una visione strategica di lungo periodo saranno
essenziali per affrontare le sfide future e cogliere le opportunità
che emergeranno da questo contesto in trasformazione.
Di seguito riporto qual è la mia strategia di lungo termine in
questo contesto. Prima,
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Vista
la poca personale disponibilità di tempo questa settimana, a cui si
somma l’entra in vigore dell’ora legale, eviterò il solito
riassunto della settimana ed andrò direttamente alla presentazione
del certificato.
Vi
dico solo, al volo, che ora, dopo aver accumulato molta liquidità
come ho scritto in praticamente tutti i post degli ultimi mesi, sto
entrando con un tasso constante settimanale su prodotti che ritengo
interessante. Quello che segue è uno di questi in cui sono entrato
proprio alla chiusura di venerdì.
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Sembra che, mentre i
mercati finanziari attendono con ansia l’annuncio del 2 aprile da
parte dell’amministrazione Trump, il dibattito su dove convenga
investire si fa sempre più acceso. La dichiarazione di Trump, che
prevede nuove tariffe per riportare “soldi e rispetto” agli
Stati Uniti, ha generato un clima di sospensione, con Wall Street che
fatica a trovare una direzione chiara. Dopo settimane di ribassi, il
mercato azionario ha segnato un lieve recupero, ma senza slanci
significativi.
A pesare su questa
incertezza è anche il rallentamento degli utili aziendali. Colossi
come FedEx e Nike hanno presentato prospettive inferiori alle attese,
attribuibili in parte al clima di instabilità politica ed economica.
La Federal Reserve ha risposto a questo scenario lasciando invariati
i tassi di interesse, ma ha rivisto al ribasso le stime di crescita
del PIL per il 2025, alzando al contempo le previsioni di inflazione.
Diciamo inoltre che,
a livello di stagionalità, dovremmo essere verso la fine del ciclo
ribassista e, per chi come me ha in questi ultimi mesi accumulato
liquidità, è arrivato il momento di iniziare a rientrare con
gradualità, con gli strumenti giusti e soprattutto attendendo i
segnali d’inversione di tendenza.
Di fronte a questa
situazione, l’Europa ha preso una strada diversa, con la Germania che
ha varato un massiccio piano di stimoli fiscali. L’approvazione di un
pacchetto da 500 miliardi di euro per le infrastrutture e un aumento
delle spese per la difesa fino al 3% del PIL testimoniano un cambio
di rotta significativo. Si stima che il totale degli stimoli fiscali
possa raggiungere i 1000 miliardi di euro nei prossimi anni, segnando
una svolta per un Paese storicamente vincolato a politiche fiscali
restrittive.
Queste misure stanno già influenzando i mercati finanziari, con gli investitori che si riversano sui titoli del settore della difesa. Tuttavia, l’entusiasmo rischia di alimentare una bolla speculativa, con alcune azioni che hanno già moltiplicato il loro valore fino a dieci volte dall’inizio del conflitto in Ucraina. Sapete che, in tempi non sospetti, in questo blog sono state suggerite diverse strategie su questo settore, ma ora sto riducendo l’esposizione o vendendo metà delle esposizioni dirette come azioni o tracker, o portando in autocall i certificati e non rinnovandoli.
Sempre in Europa, la
BCE si trova ad affrontare nuove pressioni, che potrebbero limitare
ulteriori tagli ai tassi d’interesse.
Se da un lato
l’America continua a essere una destinazione privilegiata per gli
investitori globali, dall’altro emergono rischi significativi.
Secondo alcuni analisti, le politiche economiche di Trump potrebbero
accelerare un processo di trasformazione radicale, simile a quello
avviato da Krushchev e Gorbaciov nell’URSS. La riforma dei rapporti
economici e il protezionismo potrebbero avere effetti imprevedibili,
con il rischio di un’erosione del ruolo dominante del dollaro e una
maggiore volatilità dei mercati.
La sovrapposizione
tra un mercato azionario sopravvalutato e un dollaro artificialmente
forte potrebbe generare un’ulteriore instabilità. Un’eventuale
perdita di fiducia nel debito statunitense, combinata con tensioni
geopolitiche, potrebbe tradursi in un’accelerazione della fuga di
capitali.
La strategia di
questa settimana investe proprio sul settore che per definizione
unisce i vari continenti: quello del trasporto aereo.
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L’incidente verificatosi all’aeroporto di Heathrow ha portato volatilità sul settore che merita di essere sfruttata, ma sempre con molta prudenza come il prodotto riportato ci permette:
Mercati in bilico tra incertezze politiche ed
economiche
La settimana finanziaria si è chiusa con una nuova ondata di
incertezze per i mercati, dominata dalle politiche
dell’amministrazione Trump e dalle ripercussioni sulle principali
variabili economiche globali. Da un lato, le tensioni sui dazi e le
strategie monetarie statunitensi hanno condizionato Wall Street;
dall’altro, il rallentamento della crescita e il timore di una
possibile stagflazione pongono interrogativi sul futuro
dell’economia.
Il peso dell’incertezza tariffaria
Secondo le analisi sui mercati, Wall Street ha registrato la
quarta settimana consecutiva di ribassi, con il Nasdaq 100 che ha
subito un drawdown del 15% prima di recuperare parzialmente.
L’incertezza legata alle politiche tariffarie di Trump,
caratterizzate da continui annunci e rettifiche, sta penalizzando gli
investitori. L’amministrazione, piuttosto che concentrarsi sui
mercati azionari, sembra dare priorità all’andamento dei
rendimenti obbligazionari, del dollaro e del petrolio.
Nonostante i dati sull’inflazione negli Stati Uniti siano
risultati inferiori alle attese, i mercati non hanno reagito
positivamente. Il motivo è che, mentre i numeri attuali sono
contenuti, le tariffe imposte potrebbero portare a un aumento
generalizzato dei prezzi nei prossimi mesi. Questo effetto potrebbe
essere amplificato dal deprezzamento del dollaro, che renderebbe le
importazioni più costose e aumenterebbe l’inflazione interna.
Parallelamente, l’amministrazione sta valutando l’introduzione
di “military bonds”, obbligazioni a lungo termine o perpetue da
vendere agli alleati per finanziare la difesa statunitense. Questo
strumento potrebbe avere implicazioni rilevanti sui mercati
obbligazionari e sulla strategia fiscale del governo.
Inizialmente, le aspettative sui mercati erano ottimistiche, con
la prospettiva di una crescita sostenuta grazie a tagli fiscali e
politiche di deregolamentazione. Tuttavia, negli ultimi mesi,
l’attenzione si è spostata sugli aspetti negativi, come le
restrizioni all’immigrazione e l’imposizione di dazi su larga
scala.
Di seguito riporto un simpatico grafico che mi ha inviato un
consulente finanziario che ci fa riprendere contatto con la realtà,
con buona pace dei turbo-trampiani che non capivano la differenza tra
i tweet di personaggi eccentrici e le dinamiche geopolitiche e
geoeconomiche:
Uno degli effetti di queste politiche è il rallentamento della
crescita, che avviene in un contesto in cui l’inflazione, pur non
essendo elevata, sta diventando una preoccupazione persistente.
Questo scenario ha alimentato timori di stagflazione, ovvero una
combinazione di crescita lenta e inflazione elevata, che storicamente
ha avuto un impatto negativo sui mercati finanziari.
Questo timore, secondo me, può e deve essere sfruttato per chi ha
una visione di più lungo periodo acquistando obbligazioni su tutta
la curva ed in particolare sulla parte lunga.
Un altro elemento di incertezza è il comportamento della Federal
Reserve. A differenza di periodi passati in cui la banca centrale ha
adottato misure di stimolo in risposta a politiche fiscali
restrittive, l’attuale Fed si mantiene cauta, evitando di
compensare le azioni del governo con tagli ai tassi di interesse.
Questo potrebbe contribuire a un ulteriore rallentamento
dell’economia nei prossimi mesi.
Nonostante la recente correzione dei mercati azionari, il quadro
economico non è del tutto negativo. Alcuni fattori, come le misure
di stimolo adottate da Europa e Cina, potrebbero fornire un supporto
alla crescita globale. Tuttavia, l’introduzione di nuove tariffe,
attese a partire dal 2 aprile, potrebbe portare a una nuova fase di
turbolenza nei mercati.
In sintesi, i mercati restano sospesi tra il peso delle incertezze
politiche e l’attesa di misure concrete che possano stabilizzare lo
scenario economico. L’evoluzione delle politiche tariffarie e
l’atteggiamento della Fed saranno determinanti per capire la
direzione futura dell’economia globale.
Ora secondo me, per
chi come me ha accumulato liquidità fino ad oggi (chi mi segue lo
sa), può essere giunto il momento di iniziare a rientrare sul
mercato gradatamente: scegliendo i titoli giusti e le strategie
giuste.
Settimana
estremamente interessante sui mercati sia azionari che
obbligazionari. Partiamo dall’articolo della settimana scorsa dove
avevo vivamente consigliato di attuare per lo meno una qualche
strategia di copertura dei propri portafogli esposti all’azionario.
Diciamo che la stagionalità della seconda metà di febbraio e che
dovrebbe estendersi circa fino al 20 di marzo per adesso è
rispettata. Questa probabilmente è l’unico trend che ha rispettato
le aspettative, perché per il resto il mercato rimane veramente
imprevedibile più del solito.
Malgrado la riduzione di un quarto di punto da parte della Banca Centrale Europea (taglio ampiamente previsto), il mercato dei bond europei ha visto un brusco ripasso dei pezzi, o se volete un netto di rialzo degli interessi come avevo spiegato in questo articolo: “Perché puntare oggi sui titoli di stato francesi” e tra poco ci torneremo con un’altra strategia.
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portare avanti o meno questo blog visto che ormai gli impegni sono
tanti e che questa attività, anche se può non sembrare, richiede un
considerevole sforzo ed ha senso solo se sarà auto-sostenibile.
Torniamo ora all’argomento della settimana.
Il trend del taglio dei tassi da parte della BCE è il seguente:
Fatemi
iniziare con una piccola novità per questo sito: da oggi, per chi
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Veniamo ora a ciò che è successo nell’ultima settimana di
febbraio, visto che è stata caratterizzata da eventi geopolitici ed
economici di grande impatto. La clamorosa rottura tra Donald Trump e
Volodymyr Zelensky alla Casa Bianca ha scatenato reazioni immediate
nei mercati e nelle relazioni internazionali. Il presidente ucraino
chiedeva garanzie di difesa dagli Stati Uniti in cambio dell’accordo
sui minerali, ma la risposta americana è stata negativa, portando a
un acceso confronto in mondovisione. La tensione si riflette anche
nei rapporti tra Washington e Bruxelles, con un crescente distacco
tra l’amministrazione Trump e la leadership europea, in particolare
Ursula von der Leyen.
Parallelamente, l’economia statunitense sta affrontando
un’inattesa revisione al ribasso delle stime di crescita. La Federal
Reserve di Atlanta prevede un PIL negativo del -1,5% per il primo
trimestre, in gran parte a causa di una corsa alle importazioni prima
dell’entrata in vigore dei dazi. Il rallentamento è aggravato
dall’incertezza sulle politiche tariffarie e dai tagli al settore
pubblico, che stanno generando un clima di cautela nei consumi.
Tuttavia, alcuni analisti invitano alla prudenza nell’interpretare
questi dati, suggerendo che la frenata potrebbe essere temporanea.
Anche i mercati finanziari risentono di questo clima instabile.
Nonostante Nvidia abbia riportato una trimestrale positiva, il titolo
ha subito una flessione dell’8%, segnalando aspettative
eccessivamente elevate nel settore tecnologico. Le cosiddette
“Magnifiche 7” (le big tech americane) hanno avuto un inizio
d’anno difficile, mentre gli investitori stanno guardando con
crescente interesse ai mercati europei e cinesi. Inoltre, il
sentiment degli investitori è estremamente negativo, con un
pessimismo diffuso che, paradossalmente, potrebbe preludere a un
rimbalzo dei mercati.
Secondo l’analista Alessandro Fugnoli, la nuova amministrazione
americana sta adottando una strategia economica mirata a ridurre la
spesa interna e spingere altri paesi, soprattutto Europa e Cina, a
politiche fiscali più espansive. La minaccia di dazi, più che un
fine, sembra essere uno strumento di pressione per ridisegnare gli
equilibri commerciali globali. Se questa strategia si concretizzerà,
potremmo assistere a una fase di rallentamento temporaneo negli Stati
Uniti, compensata da un rilancio economico altrove.
Io, più modestamente, ritengo che alla fine del mandato di Trump,
la bilancia commerciale USA continuerà ad essere ampiamente negativa
se non addirittura peggiore di quella attuale. Se così non fosse
significherebbe che gli USA si priverebbero della centralità del
dollaro, grazie alla quale domina il sistema economico globale e che
gli ha permesso di uscire dalle ultime crisi finanziari.
Insomma, comunque la si pensi, sembra che la “sbornia Trump”
stia terminando sui mercati e, per chiunque abbia vissuto un po’,
sappiamo come ci si sente nel dopo sbornia!
Ricordo inoltre che i gestori hanno il minimo di liquidità nei
portafogli dal 2010, questo tradotto significa che tra un po’ non
potranno più comprare e sostenere i prezzi.
Per questo motivo penso che sia il momento di aumentare la
liquidità in portafoglio e/o coprirsi con posizioni ribassiste.
Venerdì, ad esempio, ho aperto una posizione short sul FTSE-MIB.
L’attuale
scenario globale sta attraversando un periodo di profonde
trasformazioni geopolitiche ed economiche, con implicazioni che si
estendono dai mercati finanziari alle relazioni tra le grandi potenze
mondiali. Gli Stati Uniti, sotto la nuova amministrazione, stanno
ridefinendo la propria strategia internazionale con un approccio che
distingue chiaramente tra alleati e avversari, ma con una logica più
complessa rispetto al passato. Da un lato, emergono sempre più forti
le tensioni con la Cina, considerata il vero concorrente strategico,
mentre dall’altro si delinea un nuovo rapporto con la Russia, che
potrebbe rientrare in una prospettiva di distensione condizionata.
La politica estera americana sembra essere guidata da una visione
che contrappone il mondo globalista, incarnato da Europa e Canada, a
quello sovranista e nazionalista che l’amministrazione attuale
intende promuovere. In questo contesto, il conflitto in Ucraina
diventa un nodo centrale: mentre Washington esplora la possibilità
di un accordo con Mosca, allontanandosi progressivamente dal sostegno
incondizionato a Kiev, l’Europa si trova sempre più isolata nella
sua posizione di supporto al governo Zelensky. Questa distanza si
riflette nelle difficoltà dei negoziati, che si stanno svolgendo
senza il coinvolgimento diretto delle autorità europee, alimentando
tensioni e incertezze nel Vecchio Continente.
Parallelamente, il panorama economico statunitense mostra segni di
rallentamento. L’ottimismo che aveva caratterizzato l’inizio
dell’anno sta lasciando spazio a crescenti timori legati alle
politiche fiscali e commerciali. La possibilità di un grande accordo
monetario, simile al Plaza Accord degli anni Ottanta, è tra le
ipotesi che circolano nei circoli economici, suggerendo una possibile
ristrutturazione del sistema finanziario globale. L’idea di
condividere l’onere della valuta di riserva con altre economie
avanzate potrebbe ridisegnare gli equilibri monetari internazionali e
cambiare il peso specifico del dollaro sui mercati globali.
In Europa, la situazione appare complessa e caratterizzata da una
crescente necessità di autonomia strategica. Con un legame sempre
più fragile con gli Stati Uniti, il continente si trova davanti a
scelte difficili: aumentare la spesa per la difesa, cercare nuovi
partner commerciali o rafforzare la propria competitività
tecnologica. In quest’ottica, la Cina diventa un attore sempre più
rilevante. Il gigante asiatico sta attraversando una fase di
consolidamento interno, con il governo che ha deciso di abbandonare
l’atteggiamento ostile nei confronti delle grandi aziende private e
di rilanciare il settore tecnologico come motore della crescita. Il
recente incontro tra i leader delle principali aziende tecnologiche
cinesi e le autorità governative ha rappresentato un chiaro segnale
in questa direzione, con effetti immediati sui mercati finanziari e
sulle aspettative di crescita del settore.
L’insieme di questi fattori sta creando un contesto in cui
l’incertezza gioca un ruolo determinante. Le imprese faticano a
pianificare gli investimenti in un ambiente in cui le politiche
economiche possono cambiare rapidamente, e la stessa politica
monetaria delle principali banche centrali sembra destinata a subire
continue revisioni per adattarsi a uno scenario in evoluzione.
L’Europa, dal canto suo, deve trovare un equilibrio tra la
necessità di mantenere solide relazioni transatlantiche e la
crescente attrazione di nuovi mercati e alleanze alternative.
Il futuro prossimo sarà caratterizzato da un difficile processo
di ridefinizione degli assetti globali. I mercati finanziari stanno
già scontando le conseguenze di questi mutamenti, con una volatilità
crescente e un’attenzione sempre maggiore ai segnali provenienti
dai governi e dalle istituzioni internazionali. Tra riallineamenti
geopolitici, strategie economiche in trasformazione e la necessità
di rispondere a nuove sfide, il mondo si trova di fronte a una fase
di transizione che potrebbe ridefinire le regole del gioco per gli
anni a venire.
In questo contesto la mia prudenza è massima e, rimanendo un po’
alla finestra, sto monitorando dei certificati estremamente
resilienti anche in future condizioni avverse.
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Il certificato della
settimana ha come sottostanti tre colossi della grande distribuzione
americana, due dei quali penso che difficilmente siano presenti nei
portafogli di molti. Ecco le caratteristiche:
L’attuale
scenario internazionale si configura come un complesso intreccio di
politiche commerciali, tensioni geopolitiche e sfide economiche, in
cui le scelte in ambito tariffario e monetario stanno tracciando la
rotta di una nuova era post-bellica. Da un lato, l’amministrazione
Trump ha cercato di imporre un regime di tariffe “reciproche” –
riassunto nella celebre formula “Whatever Countries charge the
United States of America, we will charge them – No more, no less!”
– con l’obiettivo di replicare le misure commerciali adottate
dagli altri Paesi. Tale strategia non si limita a colpire le tariffe
classiche, ma si estende anche alle barriere non tariffarie, come i
sussidi sleali, i regolamenti discriminatori e, in particolare,
l’IVA, che in Europa raggiunge una media del 21,8%. Questa misura
potrebbe avere ripercussioni notevoli sul commercio internazionale,
evidenziando una profonda divergenza di approcci tra la leadership
statunitense e quella europea, dove la frammentazione dei governi
nazionali complica una risposta unitaria.
Parallelamente, il panorama economico è segnato dall’evolversi
della dinamica inflazionistica in un dopoguerra che, a differenza dei
precedenti, non garantisce un immediato ritorno alla stabilità dei
prezzi. Sebbene la tradizione storica suggerisca che la pace porti a
una disinflazione, l’esperienza degli Stati Uniti nel 1946-47 ha
dimostrato come il passaggio dalla guerra alla pace possa innescare
ondate inflazionistiche significative. Oggi, l’inflazione
statunitense si attesta attorno al 3% – con un’attenzione
particolare alla componente core che raggiunge il 3,3% –
evidenziando che il decollo dei prezzi, pur moderato, è un fenomeno
da monitorare attentamente per evitare un’autoalimentazione delle
aspettative inflazionistiche.
Un’immagine che mi è stata inviata da una persona che stimo
molto, mi ha fatto notare un’analogia inquietante con l’andamento
dell’inflazione degli anni ‘70. Meditate gente, meditate:
Il contesto geopolitico aggiunge ulteriori complessità: mentre
gli USA avanzano nel loro dialogo diretto con attori come Putin,
escludendo l’Europa da certi canali di negoziazione, quest’ultima
si trova a dover rinegoziare non solo le proprie politiche tariffarie
ma anche a fronteggiare la necessità di un riarmo e di un incremento
della spesa militare. La pressione degli Stati Uniti, che richiede
all’Europa un impegno in termini di capacità difensiva, si
accompagna alla prospettiva di sanzioni tariffarie in caso di mancata
collaborazione. Allo stesso tempo, sia in Europa che in altre grandi
economie, l’espansione della spesa pubblica per armamenti e per la
ricostruzione post-conflitto viene finanziata principalmente
attraverso l’indebitamento, in un contesto politico in cui nuove
tasse risultano impopolari e difficili da introdurre.
In definitiva, il mosaico internazionale si presenta come una rete
intricata di decisioni strategiche, dove le politiche
protezionistiche e le misure di stimolo economico devono bilanciarsi
per contenere l’inflazione senza frenare la crescita. Le banche
centrali, da parte loro, sembrano disposte a tollerare un’inflazione
attorno al 3% per sostenere il percorso di espansione, pur rimanendo
vigili sul rischio di un’ulteriore divergenza delle aspettative.
Tale equilibrio delicato tra commercio, sicurezza e politica
monetaria definisce la sfida di un dopoguerra che si distingue
nettamente dalle esperienze passate.
Data questa
situazione, io sto aumentando ancor di più la componente di
liquidità o liquidabile in poco tempo. Per il resto apro solo
posizioni tattiche come quella di seguito.
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solito, vi ricordo che chi volesse contribuire al proseguimento di
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In particolare, mi
sto concentrando sul fenomeno dell’aggregazione bancarie ed il
prodotto che ho selezionato è il seguente: