La spesa del carrello americana per un 10% all’anno

L’attuale scenario globale sta attraversando un periodo di profonde trasformazioni geopolitiche ed economiche, con implicazioni che si estendono dai mercati finanziari alle relazioni tra le grandi potenze mondiali. Gli Stati Uniti, sotto la nuova amministrazione, stanno ridefinendo la propria strategia internazionale con un approccio che distingue chiaramente tra alleati e avversari, ma con una logica più complessa rispetto al passato. Da un lato, emergono sempre più forti le tensioni con la Cina, considerata il vero concorrente strategico, mentre dall’altro si delinea un nuovo rapporto con la Russia, che potrebbe rientrare in una prospettiva di distensione condizionata.

La politica estera americana sembra essere guidata da una visione che contrappone il mondo globalista, incarnato da Europa e Canada, a quello sovranista e nazionalista che l’amministrazione attuale intende promuovere. In questo contesto, il conflitto in Ucraina diventa un nodo centrale: mentre Washington esplora la possibilità di un accordo con Mosca, allontanandosi progressivamente dal sostegno incondizionato a Kiev, l’Europa si trova sempre più isolata nella sua posizione di supporto al governo Zelensky. Questa distanza si riflette nelle difficoltà dei negoziati, che si stanno svolgendo senza il coinvolgimento diretto delle autorità europee, alimentando tensioni e incertezze nel Vecchio Continente.

Parallelamente, il panorama economico statunitense mostra segni di rallentamento. L’ottimismo che aveva caratterizzato l’inizio dell’anno sta lasciando spazio a crescenti timori legati alle politiche fiscali e commerciali. La possibilità di un grande accordo monetario, simile al Plaza Accord degli anni Ottanta, è tra le ipotesi che circolano nei circoli economici, suggerendo una possibile ristrutturazione del sistema finanziario globale. L’idea di condividere l’onere della valuta di riserva con altre economie avanzate potrebbe ridisegnare gli equilibri monetari internazionali e cambiare il peso specifico del dollaro sui mercati globali.

In Europa, la situazione appare complessa e caratterizzata da una crescente necessità di autonomia strategica. Con un legame sempre più fragile con gli Stati Uniti, il continente si trova davanti a scelte difficili: aumentare la spesa per la difesa, cercare nuovi partner commerciali o rafforzare la propria competitività tecnologica. In quest’ottica, la Cina diventa un attore sempre più rilevante. Il gigante asiatico sta attraversando una fase di consolidamento interno, con il governo che ha deciso di abbandonare l’atteggiamento ostile nei confronti delle grandi aziende private e di rilanciare il settore tecnologico come motore della crescita. Il recente incontro tra i leader delle principali aziende tecnologiche cinesi e le autorità governative ha rappresentato un chiaro segnale in questa direzione, con effetti immediati sui mercati finanziari e sulle aspettative di crescita del settore.

L’insieme di questi fattori sta creando un contesto in cui l’incertezza gioca un ruolo determinante. Le imprese faticano a pianificare gli investimenti in un ambiente in cui le politiche economiche possono cambiare rapidamente, e la stessa politica monetaria delle principali banche centrali sembra destinata a subire continue revisioni per adattarsi a uno scenario in evoluzione. L’Europa, dal canto suo, deve trovare un equilibrio tra la necessità di mantenere solide relazioni transatlantiche e la crescente attrazione di nuovi mercati e alleanze alternative.

Il futuro prossimo sarà caratterizzato da un difficile processo di ridefinizione degli assetti globali. I mercati finanziari stanno già scontando le conseguenze di questi mutamenti, con una volatilità crescente e un’attenzione sempre maggiore ai segnali provenienti dai governi e dalle istituzioni internazionali. Tra riallineamenti geopolitici, strategie economiche in trasformazione e la necessità di rispondere a nuove sfide, il mondo si trova di fronte a una fase di transizione che potrebbe ridefinire le regole del gioco per gli anni a venire.

In questo contesto la mia prudenza è massima e, rimanendo un po’ alla finestra, sto monitorando dei certificati estremamente resilienti anche in future condizioni avverse.

Prima, come al solito, vi ricordo che chi volesse contribuire al proseguimento di questo blog, lo può fare in vari modi. Il primo è più efficace è quello di effettuare una donazione tramite Go Fund Me o Buy Me Coffee. Poi potete iscrivervi alla mailing list qui a destra, potete “valorizzare” le inserzioni pubblicitarie che vi vengono presentate ed infine potete diffondere gli articoli tramite i social network a cui siete iscritti. Ogni contributo è un piccolo mattoncino per l’indipendenza di questo blog.

Il certificato della settimana ha come sottostanti tre colossi della grande distribuzione americana, due dei quali penso che difficilmente siano presenti nei portafogli di molti. Ecco le caratteristiche:

Continua a leggere…

BPER Banca per oltre il 10% annuo

L’attuale scenario internazionale si configura come un complesso intreccio di politiche commerciali, tensioni geopolitiche e sfide economiche, in cui le scelte in ambito tariffario e monetario stanno tracciando la rotta di una nuova era post-bellica. Da un lato, l’amministrazione Trump ha cercato di imporre un regime di tariffe “reciproche” – riassunto nella celebre formula “Whatever Countries charge the United States of America, we will charge them – No more, no less!” – con l’obiettivo di replicare le misure commerciali adottate dagli altri Paesi. Tale strategia non si limita a colpire le tariffe classiche, ma si estende anche alle barriere non tariffarie, come i sussidi sleali, i regolamenti discriminatori e, in particolare, l’IVA, che in Europa raggiunge una media del 21,8%. Questa misura potrebbe avere ripercussioni notevoli sul commercio internazionale, evidenziando una profonda divergenza di approcci tra la leadership statunitense e quella europea, dove la frammentazione dei governi nazionali complica una risposta unitaria.

Parallelamente, il panorama economico è segnato dall’evolversi della dinamica inflazionistica in un dopoguerra che, a differenza dei precedenti, non garantisce un immediato ritorno alla stabilità dei prezzi. Sebbene la tradizione storica suggerisca che la pace porti a una disinflazione, l’esperienza degli Stati Uniti nel 1946-47 ha dimostrato come il passaggio dalla guerra alla pace possa innescare ondate inflazionistiche significative. Oggi, l’inflazione statunitense si attesta attorno al 3% – con un’attenzione particolare alla componente core che raggiunge il 3,3% – evidenziando che il decollo dei prezzi, pur moderato, è un fenomeno da monitorare attentamente per evitare un’autoalimentazione delle aspettative inflazionistiche.

Un’immagine che mi è stata inviata da una persona che stimo molto, mi ha fatto notare un’analogia inquietante con l’andamento dell’inflazione degli anni ‘70. Meditate gente, meditate:

Il contesto geopolitico aggiunge ulteriori complessità: mentre gli USA avanzano nel loro dialogo diretto con attori come Putin, escludendo l’Europa da certi canali di negoziazione, quest’ultima si trova a dover rinegoziare non solo le proprie politiche tariffarie ma anche a fronteggiare la necessità di un riarmo e di un incremento della spesa militare. La pressione degli Stati Uniti, che richiede all’Europa un impegno in termini di capacità difensiva, si accompagna alla prospettiva di sanzioni tariffarie in caso di mancata collaborazione. Allo stesso tempo, sia in Europa che in altre grandi economie, l’espansione della spesa pubblica per armamenti e per la ricostruzione post-conflitto viene finanziata principalmente attraverso l’indebitamento, in un contesto politico in cui nuove tasse risultano impopolari e difficili da introdurre.

In definitiva, il mosaico internazionale si presenta come una rete intricata di decisioni strategiche, dove le politiche protezionistiche e le misure di stimolo economico devono bilanciarsi per contenere l’inflazione senza frenare la crescita. Le banche centrali, da parte loro, sembrano disposte a tollerare un’inflazione attorno al 3% per sostenere il percorso di espansione, pur rimanendo vigili sul rischio di un’ulteriore divergenza delle aspettative. Tale equilibrio delicato tra commercio, sicurezza e politica monetaria definisce la sfida di un dopoguerra che si distingue nettamente dalle esperienze passate.

Data questa situazione, io sto aumentando ancor di più la componente di liquidità o liquidabile in poco tempo. Per il resto apro solo posizioni tattiche come quella di seguito.

Prima, come al solito, vi ricordo che chi volesse contribuire al proseguimento di questo blog, lo può fare in vari modi. Il primo è più efficace è quello di effettuare una donazione tramite Go Fund Me o Buy Me Coffee. Poi potete iscrivervi alla mailing list qui a destra, potete “valorizzare” le inserzioni pubblicitarie che vi vengono presentate ed infine potete diffondere gli articoli tramite i social network a cui siete iscritti. Ogni contributo è un piccolo mattoncino per l’indipendenza di questo blog.

In particolare, mi sto concentrando sul fenomeno dell’aggregazione bancarie ed il prodotto che ho selezionato è il seguente:

Continua a leggere…

I titoli di stato USA per oltre il 13%

La Banca Centrale Europea ha deciso di ridurre i tassi d’interesse di 25 punti base, portando il totale dei tagli a 125 punti base. Il tasso sui depositi è ora fissato al 2,75%, segnando una divergenza rispetto alla Federal Reserve, che ha scelto di mantenere invariata la propria politica monetaria. Questa scelta della BCE riflette la debolezza dell’economia europea, con i dati sul PIL del quarto trimestre 2024 che mostrano una contrazione dello 0,1% in Francia, dello 0,2% in Germania e una crescita nulla in Italia, segnalando una fase di stagnazione.

Christine Lagarde ha riconosciuto che l’inflazione nel settore dei servizi rimane elevata, ma si è detta fiduciosa in un rallentamento della crescita salariale, uno dei principali fattori di pressione sui prezzi. Gli investitori attendevano indicazioni sulla traiettoria futura dei tassi sia in Europa che negli Stati Uniti, e da entrambe le banche centrali è emerso che i tassi restano in territorio restrittivo, lasciando intendere che il ciclo di riduzioni non sia ancora concluso. Negli Stati Uniti si stima un livello di equilibrio intorno al 3%, mentre in Europa Lagarde aveva in precedenza indicato un intervallo compreso tra l’1,75% e il 2,25%. Il 7 febbraio, la BCE pubblicherà un’analisi su questo tema, sebbene si tratti di un concetto teorico, in quanto il livello preciso dei tassi di equilibrio resta incerto.

Negli Stati Uniti, la crescita economica ha deluso le aspettative: il PIL è aumentato del 2,3%, contro il 2,7% atteso. Tuttavia, i mercati non hanno reagito negativamente, grazie alla solida espansione dei consumi, in crescita del 4,2%. Il rallentamento è stato determinato da un calo degli investimenti privati e delle esportazioni, portando la crescita complessiva del PIL per il 2024 al 2,8%, leggermente inferiore al 2,9% registrato nel 2023.

Sul fronte del commercio internazionale, Donald Trump ha confermato l’imposizione di tariffe del 25% su 900 miliardi di dollari di importazioni dal Canada e dal Messico, a partire da domani. Tuttavia, potrebbe escludere il petrolio da queste misure, riducendone così l’impatto complessivo. La reazione dei mercati è stata piuttosto contenuta. Anche nei confronti della Cina potrebbero essere introdotte nuove tariffe, con un’aliquota ipotizzata intorno al 10%.

Nel frattempo, i titoli tecnologici cinesi stanno registrando performance positive, grazie a un atteggiamento meno aggressivo di Trump nei confronti di Pechino e ai progressi nel settore dell’intelligenza artificiale. Alibaba, in particolare, ha guadagnato oltre il 21% dall’inizio dell’anno, dopo aver annunciato un modello di intelligenza artificiale che ha superato le prestazioni di quelli sviluppati da Meta e DeepSeek.

Nella settimana appena conclusa ho trovato un certificato veramente interessante che forse ha un unico difetto: è in bid-only, ossia il liquidity provider (Leonteq Securities) acquista solamente ma non vende più. Malgrado ciò il certificato ha comunque una buona liquidità perché diversi retail continuano a scambiarlo. Io personalmente sono riuscito ad acquistarne un po’ proprio una paio di giorni fa a 1006€.

Prima, come al solito, vi ricordo che chi volesse contribuire al proseguimento di questo blog, lo può fare in vari modi. Il primo è più efficace è quello di effettuare una donazione tramite Go Fund Me o Buy Me Coffee. Poi potete iscrivervi alla mailing list qui a destra, potete “valorizzare” le inserzioni pubblicitarie che vi vengono presentate ed infine potete diffondere gli articoli tramite i social network a cui siete iscritti. Ogni contributo è un piccolo mattoncino per l’indipendenza di questo blog.

Vediamo quindi ora i dettagli del certificato:

Continua a leggere…